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Se mi vuoi bene, dimmi di no
In ricordo di Giuliana Ukmar

Prof. Dario Varin
Sabato 18 maggio 2002


La trascrizione di questa conferenza non è stata rivista dall’autore.

Introduzione
Dr.Cristina Mondello


Giuliana Ukmar e la sua opera
Un anno fa, il 21 maggio esattamente, moriva, ancora molto giovane, Giuliana Ukmar, lasciando un grande vuoto, non soltanto nella sua famiglia e tra i suoi pazienti, ma anche tra tutti coloro che hanno seguito la sua opera.
Per fortuna ci sono rimasti i suoi libri, il primo dei quali già dal titolo molto chiaro, Se mi vuoi bene, dimmi di no, fu pubblicato dalla Franco Angeli nel 1997 e subito al suo apparire ebbe un grandissimo successo. Ne furono vendute decine di migliaia di copie, perché moltissime famiglie oggi, nell’incertezza del mondo attuale, hanno bisogno di aiuto per essere genitori efficaci. Questo perché per decine di anni, dagli anni cinquanta, circa, agli anni ottanta, pedagogisti e psicologi hanno spesso invitato le famiglie, i genitori e gli insegnanti a cercare di non creare traumi nei bambini. a cercare di rendere loro la vita facile, ad accontentarli in tutto, ma questo ha creato delle conseguenze piuttosto dannose.
Il secondo libro di Giuliana Ukmar: Firmato: una mamma in pena, è la raccolta delle risposte che lei diede in un settimanale femminile ed è un campionario molto vasto che affronta una vasta gamma di problemi, dalle difficoltà con il cibo, ai problemi con il sonno, ai rapporti con i nonni, addirittura si sofferma anche su come parlare della morte ai ragazzi, sui problemi con lo studio. Si tratta di una sorta di applicazione pratica della teoria che lei ha esposto nel primo libro. È talmente ampio il ventaglio delle problematiche trattate che chiunque vi può trovare risposta ai propri problemi personali.

Importanza dell’opera di Giuliana Ukmar
Perché è importante l’opera di Giuliana Ukmar? Come vi dicevo, decenni di pedagogia permissiva hanno creato quella che lei ha individuato come la “sindrome da bambino onnipotente”. Giuliana Ukmar dice che i genitori sono messi in discussione dai continui messaggi che invitano a non creare traumi, a non porre limiti, a non dare regole rigide ai bambini, e i bambini sono diventati dei piccoli re, come nell’immagine della copertina del suo testo, si sentono onnipotenti.
Ma bambini e ragazzi non hanno la maturità per gestire questa onnipotenza. Giuliana Ukmar usa nel suo testo una bellissima immagine, li paragona a dei ciechi messi in una grande stanza che girano in tondo senza mai trovare un muro che funga da punto di riferimento. In queste condizioni chiunque sarebbe preso dal panico.
Anche noi adulti nella società occidentale di questi ultimi cinquant’anni assomigliamo un po’ a quei ciechi, questo perché sono venuti a mancare i punti di riferimento morali collettivi.
E’ difficile oggi individuare una via educativa in questa situazione che è stata definita, per esempio, da Lipoweski “L’era del vuoto”. Da Hude un’epoca di “afasia morale”, cioè dell’impossibilità di parlare della morale. Sembra infatti che si siano realizzate le profezie che Nietzsche e Durkheim avevano fatto all’inizio del secolo, annunciando un periodo completamente privo di valori, Durkheim a tale riguardo parlò di “anomia”, mancanza di norme.
Le conseguenze dell’educazione permissiva e della mancanza di valori condivisi sono sotto gli occhi di tutti, i ragazzi sono molto fragili hanno difficoltà ad affrontare gli insuccessi scolastici; aumentano i suicidi giovanili, gli atti di bullismo nelle scuole e fuori, le cosiddette azioni delle baby-gang, sino ad arrivare alle violenze all’interno della famiglia.

Attualità del messaggio di Giuliana Ukmar
Cosa ci ha detto Giuliana Ukmar che può essere ancora importante e su cui rifletteremo anche con il Prof. Varin? Giuliana Ukmar ci ha detto di tornare a fare gli adulti, di tornare ad essere genitori e insegnanti, di tornare a ricoprire le nostre responsabilità di genitori ed insegnanti, anche quando questo significa dire dei no, anche quando questo significa far scontrare i ragazzi con dei muri, che naturalmente non metteremo loro per cattiveria, ma sempre per amore, con fermezza, con la convinzione che questa fermezza può essere utile alla loro crescita.
Questo può fare in modo che i ragazzi si rafforzino, perché prima o poi devono affrontare il mondo esterno che non è tenero, quindi noi adulti dobbiamo cercare di renderli forti.
Non si tratta certamente di un ritorno al passato, di un ritorno all’autoritarismo che noi ben conosciamo. Nessuno vuole rinunciare alle conquiste di questi ultimi cinquant’anni: al dialogo, alla vicinanza, alla comprensione che noi abbiamo nei confronti dei nostri figli. Però questo dialogo, questa comprensione non deve essere un dialogo tra amici, deve essere un dialogo tra genitori e figli, con quella fermezza di cui parlavamo prima.
Prendo lo spunto da una vignetta che mi ha portato una delle partecipanti ai gruppi che abbiamo proposto, dove si vede un genitore che propone al figlio di essergli amico. Il figlio ci pensa un po’ e dice: “Bene, adesso ho un amico in più, ma non ho nessun padre”.
Effettivamente i ragazzi hanno tanti amici, ma hanno soltanto due genitori e i genitori non devono rinunciare al proprio ruolo.

Risvolti etici del messaggio di Giuliana Ukmar
Quello che però a noi importa del messaggio di Giuliana Ukmar non è soltanto la sua utilità nella vita quotidiana, senz’altro molto importante e che ha aiutato tanti genitori a non essere “schiavi” dei propri bambini, ci preme anche l’aspetto etico che è sotteso al suo messaggio.
Ho trovato in un testo di pedagogia del 1919 una frase che mi ha molto colpita. Diceva l’autrice, Maria Galli. “I primi sì e i primi no che i genitori dicono ai loro figli costituiscono il primo nucleo del senso morale”. In effetti, se ci pensate, se la mamma dice no, vuol dire che quella cosa è male, se la mamma dice si, la mamma o il papà, naturalmente, vuol dire che quell’azione è bene compierla.
Ora, bene e male non sono concetti molto usuali sui quali la riflessione di questa parte del secolo va a porsi molto facilmente, basta vedere i messaggi che ci lanciano i media o che ci circondano volti unicamente a farci comprare, consumare e buttare via, ad accumulare denaro, ad accumulare status-symbol.

Importanza della riflessione sull’etica
Noi del Centro Nuovo Umanesimo pensiamo che sia opportuno convogliare le nostre riflessioni anche sull’aspetto etico, proprio sulla filosofia morale che sottende le nostre vite e la nostra opera educativa. Non è semplice. Pensate a problemi morali nuovissimi che si presentano solo ora, come quelli relativi alla clonazione, all’eutanasia, ma anche a concetti semplici, o che dovrebbero essere tali, come l’onestà.
Nel nostro periodo storico è facile definire che cosa sia onestà? È facile parlare di senso del dovere, di impegno, di libertà nel vero senso della parola?
Oggi noi siamo liberi di fare qualunque cosa, ma abbiamo riflettuto e facciamo riflettere i nostri figli sul fatto che la nostra libertà finisce dove comincia la libertà dell’altro, altrimenti non è più libertà ma licenza?
Noi pensiamo che si debba ritornare a parlare di questi argomenti nel confronto, nella collaborazione, prima di tutto tra i genitori, perché sarebbe opportuno l’accordo proprio nella coppia genitoriale: se i ragazzi non trovano questo accordo, possono approfittarne, appoggiandosi all’uno o all’altro. È poi necessario l’accordo nelle agenzie educative, lo abbiamo già detto, e lo ripeto, la collaborazione tra scuola e famiglia sarebbe indispensabile in questo senso.
Oggi, invece, la deresponsabilizzazione dei ragazzi, cioè l’aver tolto ai ragazzi ogni responsabilità e l’averla spostata sugli adulti, ha portato un palleggiamento di responsabilità, se qualcosa non va bene gli insegnanti incolpano la famiglia e viceversa la famiglia incolpa la scuola.
Ci piacerebbe che si tornasse a lavorare insieme in vista del bene dei ragazzi, a collaborare per questi obiettivi. L’ideale sarebbe raggiungere il livello dei media, perché i media sono pervasivi, entrano in tutte le case e, spesso, i loro messaggi sono ben lontani dall’etica.

Presentazione della relazione del Prof. Dario Varin
Ora lascio la parola al Prof. Varin che ringrazio moltissimo per aver accettato il nostro invito. Il professore insegna Psicologia dello Sviluppo all’Università Statale di Milano Bicocca ed è proprio la persona adatta a trattare questi argomenti perché nell’ultimo periodo ha dedicato i suoi studi allo sviluppo socio-morale dei bambini.
Grazie ancora e a lei la parola. Naturalmente alla fine il professore risponderà alle vostre domande.


RELAZIONE DEL PROF. DARIO VARIN
Introduzione
Grazie per la lusinghiera presentazione. Come ha anticipato la Dott.ssa Mondello, in effetti negli ultimi anni mi sono proprio occupato di alcuni aspetti dello sviluppo socio-morale o etico-sociale dei bambini anche con ricerche sul campo. Prima di passare a una discussione, volevo dirvi cosa è emerso negli ultimi anni sul piano della ricerca scientifica per quanto riguarda lo sviluppo morale dei bambini.

Mutamenti nei processi di socializzazione dei bambini
Innanzitutto noi dobbiamo calare gli studi sullo sviluppo morale dei bambini nel contesto culturale e sociale contemporaneo, molte cose infatti sono cambiate e molte stanno cambiando: i processi di socializzazione dei bambini, ad esempio, sono cambiati rispetto a cinquant’anni fa sotto molteplici punti di vista.
Voglio accennare ad alcuni di questi aspetti che sono sotto gli occhi di tutti, però volevo anche considerare alcune implicazioni di questi cambiamenti.
Oggi i bambini, fin da piccoli, sono avviati ad un’esperienza di gruppo, alcuni iniziano molto presto, all’asilo nido, altri incominciano dopo. Una volta erano pochi i bambini che a tre anni andavano alla scuola materna, adesso invece la grande maggioranza dei bambini, per non dire tutti, ci va.
Non solo, ma prima i bambini avevano i loro gruppi, che erano gruppi spontanei, i gruppi del cortile, i gruppi in cui si mescolavano età diverse, oggi invece la socializzazione dei bambini è cambiata in modo profondo: il gruppo dei compagni è diventato un agente di socializzazione sempre più importante, occupando progressivamente uno spazio maggiore rispetto a quanto accadeva nel passato.
E’ vero che anche nel passato i ragazzi avevano l’esperienza della strada, del gruppo spontaneo, come dicevo prima, però il gruppo del cortile, era un gruppo molto diverso.
Ora i bambini vivono un’esperienza di gruppo guidata in modo più o meno competente, più o meno capace, da chi si occupa di loro, passano molte ore al giorno fuori dal contesto domestico, qualcuno più di otto ore al giorno. Questo è un primo aspetto importante che ha indotto alcuni studiosi americani, cito una ricercatrice, Judith Harris, a sostenere che in alcuni contesti il peso del gruppo dei compagni come agente di socializzazione è diventato più importante di quanto non lo sia il peso del contesto familiare. Questa affermazione presa di per sé è un po’ troppo assoluta, nel senso che questo può essere vero in certi ambienti culturali, per alcune famiglie, meno per altre, in ogni caso questo aspetto è importante.

Riduzione del tempo per la comunicazione intrafamiliare
Inoltre, come sappiamo, molte mamme oggi lavorano fuori casa e i tempi si sono contratti, non che una volta ci fosse abbondanza di tempo per occuparsi dei bambini, perché anche nel passato le mamme lavoravano, eppure i tempi della comunicazione intrafamiliare, ad esempio, per molti aspetti si sono fatti più poveri, non per tutti naturalmente, dobbiamo stare attenti a non assolutizzare, ma indubbiamente, si sono ridotti, basta pensare a quando prima ho fatto riferimento all’avvento dei media, la televisione in particolare.
Si sta riducendo notevolmente, infatti, lo spazio che tradizionalmente aveva la famiglia e anche la rete di persone che stanno vicine alla famiglia, per esempio il vicinato, quest’ultimo una volta era un’istituzione molto importante, lo è ancora ma il suo peso, specialmente nelle grandi realtà urbane, si sta riducendo molto.
Un tempo c’era una rete di relazioni personali molto significativa per la socializzazione dei bambini che oggi spesso viene a mancare. Alcune famiglie vivono in contesti di gruppo e si frequentano, dando vita ad una sorta di nuovo vicinato realizzato per iniziativa delle famiglie stesse.
In ogni caso, l’aspetto essenziale è che il gruppo dei compagni ha senza alcun dubbio acquisito un peso crescente nella socializzazione e nello sviluppo dei bambini, con risultati che possono essere in parte positivi, se questa esperienza ha le caratteristiche che consentono l’acquisizione di aspetti positivi nello sviluppo della socializzazione, e anche con qualche rischio, come è stato sottolineato e come vedremo.
Quindi, in conclusione, lo sviluppo, sociale, economico, anche tecnologico, ha il suo peso: pensate cosa ha significato semplicemente la disponibilità di tanti canali in televisione, la possibilità che i bambini, abbiano la loro televisione nella loro camera, cosa che non dovrebbe accadere, anche a parere di molti esperti, mentre purtroppo avviene spesso, anzi più i livelli culturali sono bassi, più questo è frequente.
Quindi lo spazio di socializzazione nel contesto socio-familiare si è progressivamente ridotto nonostante la sua grande importanza e qui cito un’altra autrice molto nota che si è occupata di questo problema, Judy Dunn, che ha scritto un bellissimo libro sull’inizio dello sviluppo morale nell’infanzia, anche perché il tipo di esperienza relazionale che il bambino vive nel contesto familiare, incominciando appunto con i “no” di cui si parla nel libro della Ukmar, è uno degli aspetti paradigmatici.
Si tratta infatti di un tipo di esperienza relazionale in cui le norme sono cariche di significati, di valenze affettive, molto di più di quanto non sia il no di un educatore estraneo alla famiglia. Un educatore può evidentemente avere un peso rilevante, specialmente se costituisce una figura di riferimento sul piano personale per il bambino, e ha con lui una certa continuità di rapporti, ma il no che viene dalla mamma o dal papà, è diverso dal no e dalla proibizione che viene fatta in classe, in una sezione di scuola materna.
Quindi un aspetto importante dei recenti studi sullo sviluppo socio-morale dei bambini è stato quello di confermare che la qualità dell’esperienza relazionale all’interno del tessuto familiare è insostituibile. Non solo, ma è l’ambiente della famiglia che è importante, ambiente inteso nel senso più ampio, anche le mura domestiche, il luogo, l’atmosfera, quello che c’è dentro la casa. Winicott, grande pediatra psicanalista che si è occupato dell’infanzia in maniera poco accademica e molto professionale e attenta, ha scritto pagine molto belle a questo proposito.

Maturazione morale dei bambini
Un altro aspetto importante che è stato oggetto degli studi recenti è una maggiore attenzione al rapporto fra la maturazione del ragionamento morale nel bambino e la maturazione delle capacità di agire moralmente, che sono due aspetti collegati l’uno all’altro, ma che non si identificano.
La psicologia tradizionale, per esempio quella di Jean Piaget, pur non disconoscendo l’importanza del comportamento etico-sociale, ha dedicato un’attenzione preponderante al modo in cui si sviluppa il ragionamento morale nei bambini. Studi importanti questi, nel senso che ci hanno fatto capire come il bambino passa da una situazione di eteronomia morale, in cui in sostanza la validità delle norme dipende solo dal fatto che esiste un’autorità rispettata che le emana, quindi è basata sul principio dell’obbedienza, è basata sul timore della punizione e così via, il bambino, dicevamo, passa progressivamene all’autonomia morale. Si ha autonomia morale, dice Piaget, quando il bambino impara a ragionare pensando non soltanto alle conseguenze delle azioni, ma anche alle loro motivazioni, per poter dare un giudizio sulla bonta di un’azione. Si ha quindi una progressiva interiorizzazione delle fonti della propria moralità e una capacità di valutare ciò che è buono e ciò che è cattivo, ciò che è giusto e ciò che è sbagliato con un’ottica più ampia .
Non sto a farvi la storia degli studi tradizionali in questo campo perché non è questo che ci interessa, ricordo soltanto che un altro grande studioso, Colberg, che si è occupato dello sviluppo morale, ha cercato di riavvicinare la tematica del ragionamento morale del bambino al problema di come agisce moralmente il bambino.
Kant, il filosofo che tutti conoscete, era convinto che in fondo il ragionare di tematiche morali con il bambino non in modo moralistico, ma, per esempio, attraverso le narrazioni storiche delle grandi gesta dei personaggi fosse una fonte importante, non soltanto per affinare il giudizio morale dei bambini, ma anche per suggerire loro delle indicazioni sulle scelte, le opzioni più giuste sul piano del comportamento. È una valutazione un po’ ottimistica che tuttavia è stata ripresa in tempi moderni da diversi studiosi, fra cui Jerome Bruner e che ha posto l’attenzione sull’importanza della costruzione di un ragionamento morale sulla base del dialogo, sulla base della comunicazione, quindi non della prescrizione moralistica o del ragionamento moralistico, una sorta di costruzione di un’identità morale del bambino, della competenza morale del bambino che passa attraverso il dialogo con le figure che per lui sono importanti, non solo i genitori, ma anche i fratelli e le figure educative più importanti. Forse nessuno ricordava che Kant avesse analizzato nei suoi scritti le funzioni del cosiddetto pensiero narrativo, cioè quella forma di pensiero che, a differenza del pensiero logico-matematico, ha a che fare con le storie, con le narrazioni, con i ragionamenti sul perché le persone si comportano in un certo modo.
È importante raccontare le storie ai bambini, parlarne con loro, far loro leggere i libri, tutte cose che purtroppo, specialmente in determinati contesti culturali, stanno accadendo sempre meno. Queste esperienze sono importanti ai fini di uno sviluppo del ragionamento morale più flessibile, più aperto, più autonomo.

Importanza delle esperienze sociali
Un altro filone di studi, invece, ha incominciato ad occuparsi del ruolo di alcune esperienze sociali particolari, utili per sviluppare una connessione con il modo in cui il bambino si comporta sul piano morale. Se ne è occupato proprio Colberg, grande studioso americano di cui vi ho parlato, sul quale è stato tradotto in italiano un libro della Cuckermeyer intitolato “L’eredità di Colberg”, nel quale si fa riferimento a una serie di esperienze che Colberg ha sviluppato negli Stati Uniti nelle just communities, dove l’esperienza sociale guidata attraverso criteri opportuni era utilizzata per favorire lo sviluppo morale, lo sviluppo etico-sociale dei bambini. Qualcuno non condivide questa impostazione, sostenendo che si tratta di esercizi, si tratta di coloro che considerano i discorsi inutili, invece, i discorsi sono utili quando sono fatti bene. Gli esercizi spirituali, dicevano, non servono a convogliare il comportamento in una chiave etico-sociale, invece molti di noi, e io sono fra questi, pensano che il discutere di tematiche etiche, anche nella comunicazione intrafamiliare, sia importante da questo punto di vista. Anzi, uno dei rischi che noi abbiamo nello sviluppo etico-sociale dei bambini è proprio quello dell’impoverimento degli spazi di comunicazione all’interno della famiglia.
È stato fatto riferimento prima alla televisione, effettivamente quando a tavola il televisore è acceso, talvolta quando il bambino vuole chiedere qualcosa su quello che sta vedendo, il genitore alza il volume perché non vuole essere disturbato, non vuole perdere nulla di quello che sta trasmettendo la televisione, anziché sentire cosa chiede il bambino su ciò che sta vedendo. Questa è una conseguenza della vita più convulsa che stiamo conducendo, con tempi sempre più contratti.
Oggi si parla molto dell’ascolto dei bambini e si è arrivati a mitizzarlo. L’ascolto è importante ma lo è anche il dialogo che è una cosa completamente diversa. L’ascolto è cercare ciò che il bambino ha dentro; il dialogo vuol dire anche costruire attraverso la comunicazione, costruire insieme a lui una serie di competenze di carattere etico-sociale, che sono competenze che non vengono imposte moralisticamente, ma vengono in qualche modo assimilate, vengono elaborate in maniera condivisa.

Importanza delle componenti biologiche
Un altro aspetto significativo che è emerso negli ultimi anni, a cui si presta tuttavia poca attenzione, è che lo sviluppo etico-sociale dei bambini e degli adolescenti non può non tenere conto che i bambini nascono diversi l’uno dall’altro e cioè che in ogni bambino ci sono componenti biologiche le quali non predeterminano lo sviluppo, ma costituiscono una base per differenti sviluppi.
Noi tutti vediamo alcuni bambini che hanno maggiore difficoltà a resistere alla tentazione, una parte di questa difficoltà deriva senza dubbio dallo sviluppo sociale che il bambino ha avuto, quindi dai contesti che ha sperimentato. Ma per alcuni resistere alla tentazione è più difficile che per altri, perché sono più nervosi, più irritabili, hanno una maggiore difficoltà nel ritardare la gratificazione della pulsione, cioè non riescono ad aspettare.
Naturalmente se un bambino è più impulsivo, così come se un bambino è più frustrabile, come viene raccontato anche nei libri della Ukmar, dipende in maniera preponderante dal contesto della sua esperienza sociale, familiare ed extrafamiliare, ma dipende anche da componenti biologiche.
In una serie di studi fatti negli ultimi dieci anni dalla studiosa Grazina Kocianska, è emerso che queste difficoltà, queste differenze individuali, giocano un ruolo rilevante nello sviluppare le prime capacità del bambino, non di ragionare ma di agire in modo più controllato e meno trasgressivo.
Alcuni bambini sono capaci di fare ragionamenti morali piuttosto elaborati, ma quando si tratta di metterli in opera le cose cambiano, credo che questa sia una cosa che tutti abbiamo osservato e ciò dipende da molti fattori.
Con questo non sto dicendo che le componenti biologiche siano determinanti, ma non possiamo adottare lo stesso metro quando chiediamo ai bambini di apprendere delle norme e soprattutto di rispettarle: per alcuni bambini è più facile, per altri è più difficile e questo non dipende soltanto dal modo in cui i bambini sono stati educati. Nessuno vuole negare che l’esperienza, l’educazione, la qualità dell’educazione, lo stile dell’educazione siano importanti, lo sono molto, la qualità della conduzione educativa che c’è all’interno della famiglia è fondamentale. Però dobbiamo ricordarci che anche il singolo carattere, il singolo temperamento del bambino, gioca un ruolo significativo, determinando aspetti dell’interazione fra genitori e bambini. Pensate ad esempio ai conflitti che ogni tanto si scatenano quando noi facciamo delle proibizioni.
Ci sono bambini per i quali il conflitto viene più naturale, sono bambini che in qualche modo sono più portati alla trasgressione, alla disobbedienza, e quindi più facilmente scatenano la nostra reazione. Ciò porta molte volte a una sorta di circolo vizioso: il bambino è più trasgressivo perché è più irritabile, ha meno capacità di aspettare, è più frustrabile e noi rispondiamo a questo tipo di comportamento del bambino. In sostanza, due fratelli all’interno della stessa famiglia non vivono lo stesso ambiente familiare, perché l’ambiente risponde in maniera differente alle loro differenti personalità.
Questo è un aspetto molto importante, la Ukmar porta in evidenza il fatto che il bambino tenda a sentirsi onnipotente anche perché gli adulti, attraverso una cattiva educazione, possono in qualche modo incrementare questo senso di onnipotenza scatenando una serie di situazioni e relazioni che non sono produttive per lo sviluppo morale dei bambini.
Il modo in cui noi negoziamo con i bambini nel momento del conflitto è importante, gli studi della Kocianska, ad esempio, hanno mostrato che alcuni bambini riescono facilmente ad interiorizzare le norme che vengono proposte dai genitori, per altri invece questa interiorizzazione è assai più difficile, anche se i genitori danno lo stesso affetto ai bambini, le possibilità di interiorizzare le norme sono differenti per i diversi bambini. Bisogna sottolinearlo, perché molte volte i genitori si colpevolizzano in maniera esagerata per comportamenti dei loro bambini che non dipendono solo, o forse neppure prevalentemente, dal modo in cui loro hanno esercitato la loro attività educativa. Questo ovviamente non deve servire a deresponsabilizzare i genitori in nessun caso, ma noi abbiamo vissuto troppo a lungo in un’epoca caratterizzata da quello che io ho chiamato un “ambientalismo relazionale ingenuo”, in cui sembra che tutto ciò che il bambino fa, come il bambino diventa, dipenda solo dal contesto ambientale e dal modo in cui i genitori si sono comportati nei suoi confronti. In realtà questo non è vero.

Importanza dell’ambiente
Diciamo che ciò che il bambino diventa è sempre la risultante delle sue caratteristiche personali, che hanno anche una componente biologica e del tipo di esperienza sociale complessiva che il bambino ha fatto, e non solo all’interno del contesto familiare. Oggi noi parliamo di una ecologia delle relazioni intrafamiliari, voglio dire che l’educazione familiare e le relazioni all’interno della famiglia, anche le più rilevanti, per lo sviluppo socio-morale, dipendono dal contesto complessivo.
Le famiglie che vivono, ad esempio, in condizioni di esasperata povertà e svantaggio sociale, non hanno tutte le risorse di cui dispongono i genitori che vivono ad un livello più agiato, più tranquillo, per esercitare la loro, chiamiamola così, potestà morale.
Ci sono grosse differenze nelle possibilità che hanno i genitori di far sì che i bambini interiorizzino le norme. Se l’esperienza di un bambino è prevalentemente l’esperienza della strada, perché i genitori rientrano tardi o se ci sono vari fratelli in famiglia è più difficile seguirli tutti. Se ci sono condizioni di questo genere, la possibilità di incidere sullo sviluppo socio-morale dei bambini può risultare notevolmente ridotta. Anche questo è un aspetto da tenere presente.

La negoziazione della regola
Detto questo, dobbiamo riflettere maggiormente sull’adattamento delle nostre modalità di interazione con i bambini tenendo maggiormente conto del carattere del singolo bambino.
Questo non vuol dire assecondarlo sempre, perché, dice bene la Ukmar, quando i bambini si accorgono delle nostre debolezze, quando comprendono che la trasgressione della regola a lunga durata può portare all’impunità, è allora che nascono tutti quei guai che conosciamo.
D’altra parte anche prolungare la situazione di conflitto per determinare chi riesce ad avere la meglio può essere molto nocivo, specialmente per alcuni bambini.
Con alcuni bambini la negoziazione di una regola può essere più importante che non l’imporre la regola, sia pure in modo anche molto affettuoso. Quindi noi dobbiamo imparare anche a negoziare, specialmente con alcuni bambini, con alcuni non è necessario, con altri invece può essere molto importante, per non parlare degli adolescenti. Certo è più difficile, ci vuole più tempo, bambini e adolescenti conoscono mille trucchi per approfittare in questo momento della negoziazione per fare quello che vogliono. Eppure è uno sforzo che deve essere fatto, anche perché il far rispettare il potere dell’adulto è una prova di realtà per i bambini e gli adolescenti e non deve essere confuso con l’imposizione della norma in modo arbitrario.
Noi sappiamo dalla ricerca che la conduzione educativa autoritaria, non quella autorevole, ma quella autoritaria, non produce effetti positivi sullo sviluppo, ma produce più spesso bambini ribelli, bambini trasgressivi, bambini che hanno scarsa autonomia.

Il gruppo e la deresponsabilizzazione
Un altro fattore importate per l’educazione dei giovani è il contesto sociale e culturale, che circonda il bambino fuori dalla famiglia. Non sempre stare troppo nel gruppo, fa bene ai bambini, i bambini devono anche imparare a stare da soli. Negli ultimi decenni è invalso un altro stereotipo della pedagogia, secondo il quale fa bene ai bambini stare in gruppo, in realtà fa loro bene se il gruppo è ben guidato, quando si tratta di un buon gruppo, può infatti non far bene se il gruppo non va come dovrebbe andare.
Voglio dire che ci sono alcuni meccanismi di deresponsabilizzazione che possono allignare più facilmente in certi gruppi e in certe esperienze esasperate della vita di gruppo, questa non è una mia ipotesi, bensì di un grande studioso americano che si è occupato di questi problemi, Albert Bandura, il quale ha messo a fuoco una serie di meccanismi che ha chiamato di disimpegno morale, meccanismi cioè che consentono anche ai bambini e adolescenti che hanno un buon livello di ragionamento morale di agire in maniera trasgressiva.
Chi insegna di voi avrà sperimentato che alcuni bambini incolpano altri del loro comportamento: “E’ colpa sua! Ha cominciato lui! Lui mi ha detto di farlo!”, tutti meccanismi di deresponsabilizzazione.
Per esempio, uno può giustificare determinate azioni incolpando un altro perché gli ha ordinato di farle, oppure minimizzando le conseguenze del proprio comportamento, o ancora demonizzando l’avversario. Con l’avversario tutto è lecito, basta guardare la televisione, per rendersi conto di quanto i mass-media, e la televisione in particolare, supportino questo meccanismo di disimpegno morale, il moral disengagement, come lo ha chiamato Bandura, che in qualche modo consente ad alcuni di giustificare qualsiasi proprio comportamento, perché l’altro è il nemico.
Non di rado il bambino, sia nell’esperienza di gruppo, sia soprattutto nel contatto con i media, si trova di fronte all’occasione di assimilare questi meccanismi che per la verità ad ognuno di noi è capitato qualche volta di dover usare, ma tali meccanismi nei gruppi giovanili possono essere particolarmente esasperati.

La trasgressione
Un altro grande aspetto dei media, sul quale vorrei soffermarmi, è il problema della valorizzazione della trasgressione. La trasgressione è un processo molto importante nell’individuazione psicologica del bambino fino a quando non diventa pervicacia.
Eccessivi livelli di trasgressione ed eccessivi livelli di disobbedienza nell’infanzia, eccessivi sottolineo, possono essere predittivi di problemi nello sviluppo sociale successivo, non devono essere minimizzati.
Se vediamo un bambino nella scuola materna che è trasgressivo e ingovernabile in maniera assolutamente atipica, nel senso che non presta, non vuole prestare ascolto a richieste ragionevoli che gli vengono fatte, questo può essere un indicatore sospetto per il suo sviluppo successivo e dobbiamo riflettere sui motivi di tali comportamenti. Quindi disobbedienza e trasgressione sono salutari in dosi opportune, ma quando assumono livelli elevati, la cosa può diventare preoccupante.

L’influenza dei media
Diciamo che i media in molti modi valorizziamo la trasgressione sotto diversi aspetti, quindi ciò che è una componente naturale dello sviluppo umano viene in qualche modo esasperata e gonfiata. Tutti sappiamo che la stessa cosa avviene per la sessualità, io non sono un moralista, credo che la sessualità sia una realtà importante nella vita di ogni persona.
Si parla poco nei libri di psicologia dello sviluppo sessuale dei bambini e questo è un male perché si tratta di un aspetto molto significativo, un aspetto che incide sulla formazione della personalità, incide anche sulla formazione del senso morale.
La televisione aumenta i comportamenti trasgressivi e violenti, studi recenti hanno mostrato che anche il consumo frequente di materiali audiovisivi di ipersesso (non mi riferisco ai films a luci rosse, ma all’ipersesso che vediamo ogni giorno in televisione) incide sull’aumento di comportamenti aggressivi non meno di quanto incidano i modelli esplicitamente violenti presentati in televisione.
Ancora, c’è un enfasi esagerata sull’avere, sulla possibilità di avere tutto e subito che esaspera le tendenze orali . Ci sono soggetti che nascono con delle tendenze ad avere, a possedere, più forti di altri, anche qui ci sono differenze individuali, però i media e la cultura contemporanea esasperano questo senso dell’oralità che ha delle implicazioni importanti per il funzionamento di tutta la personalità perché attiva quelle istanze di avidità che sono state anch’esse studiate in ambito psicanalitico, le esaspera per molti aspetti e poi porta gli adolescenti nella condizione di sentirsi in diritto di avere tutto e subito, una delle condizioni più pericolose della nostra cultura contemporanea, a ciò si accompagna una serie di altri aspetti.
Tempo fa abbiamo fatto una ricerca in cui abbiamo visto che esiste una correlazione tra elevati consumi di un certo tipo di prodotti televisivi da parte di ragazzi della scuola media (nonostante questi ragazzi tendano a vedere meno televisione perché hanno altri interessi, il momento critico per il consumo di materiali televisivi in realtà è prima, nella scuola materna ed elementare), e il pensare, per esempio, che ciò che conta nella vita è la fortuna e che tutto sommato darsi da fare e lavorare sodo conta meno.
Un’altra assunzione è che, in fondo, poiché tutti rubano abbondantemente, tutto sommato, rubare un po’, commettere un piccolo furto, non è così grave. Questo è un altro meccanismo di disimpegno morale, la cosiddetta “diffusione della responsabilità”.
Ovviamente non dobbiamo scaricare sulla televisione tutte le colpe, perché la televisione rispecchia la società in cui viviamo. Certamente noi pensiamo che siano necessari dei programmi di educazione ai media, che aiutino i genitori e gli educatori in generale a educare a loro volta figli e alunni ad una lettura critica dei messaggi televisivi.
Qualcuno addirittura non ha la televisione, io, pur rispettando questa scelta, credo che possa essere un po’ esagerata, perché la televisione può anche essere utilizzata per estendere l’orizzonte dell’esperienza sociale del bambino, può essere utilizzata per confrontarsi sui programmi in famiglia. Non possiamo incolpare la televisione di tutti i guai dello sviluppo dei nostri bambini e dei nostri adolescenti, tuttavia, indubbiamente è importante discutere con loro sul significato e sui messaggi della trasmissioni televisive.
È importante anche discutere con loro la scelta dei film che si possono vedere in settimana.
Anziché abbandonarsi a una visione estemporanea, sarebbe opportuno programmare settimanalmente le trasmissioni da vedere. Dobbiamo cercare di abituare i nostri figli a programmare la televisione a scegliere programmi buoni. Naturalmente non è compito facile, perché alcuni bambini e adolescenti, più aggressivi per la loro storia personale o per il loro temperamento, sono più portati a guardare films e programmi con contenuti violenti.
Molti pensano, ad esempio, che i cartoni animati siano, tutto sommato, innocui, non è vero. Anzi, alcuni films, con espliciti contenuti di violenza moderata inseriti in un contesto drammatico ma ben costruito dal punto di vista artistico, sono meno dannosi di un bombardamento di cartoni animati stupidi, pieni di sparatorie, bombe, rumori violenti e di stimoli aggressivi. Vi sto esponendo i risultati di precise ricerche in questi ambiti e non mie idee personali. Un consumo elevato di questo tipo di televisione si è dimostrato fortemente predittivo di comportamenti aggressivi nei bambini.
Proprio recentemente sulla rivista “Science”, una delle più autorevoli a livello mondiale nell’ambito di tutte le scienze, tali ricerche sono state nuovamente confermate. Eppure ancora oggi si sente dire che tutto sommato la televisione incide poco sull’aggressività dei bambini, è vero, incide poco in rapporto a fattori ben più gravi come la povertà, l’emarginazione, l’abbandono familiare, la trascuratezza educativa. Quando si fanno delle ricerche si portano dei dati riferiti a delle medie, ciò vuol dire che per alcuni bambini più fragili, che hanno maggiore difficoltà a staccarsi dallo schermo, gli effetti dei contenuti aggressivi, dell’ipersesso, dei cartoni animati super eccitanti, sono molto forti, per altri lo sono meno, questo dipende anche dal contesto culturale, dal contesto relazionale della famiglia.

Riepilogo e conclusione
Per riassumere: ho parlato dell’importanza di ripensare al dialogo con i bambini, dialogo, non solo ascolto, di riflettere sulle occasioni che abbiamo per migliorare la qualità della comunicazione intrafamiliare.
Altro argomento su cui soffermarsi è la necessità di tener conto delle differenze fra i bambini. Dobbiamo essere consapevoli che non possiamo affrontare allo stesso modo tutti i bambini. Certo noi diciamo che le regole valgono per tutti allo stesso modo, ma dobbiamo pensare che il modo di applicarle può variare perché bambini e adolescenti sono differenti gli uni dagli altri.
Altro punto infine che ho cercato di segnalare è la possibilità di sviluppare un’azione di educazione al consumo dei media, e non parlo solo della televisione, ma anche di internet, di altre realtà come i videogiochi, all’interno e anche al di fuori del contesto familiare.
Bene, io ho lanciato tanti sassolini, non ho certo preteso di farvi una lezione accademica, né una trattazione ben strutturata sull’argomento, però mi auguro di essere servito per suscitare qualche domanda e una discussione su questi temi.