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Il razzismo

La sera del 14 maggio 2001 si sono riuniti i soci del Centro Nuovo Umanesimo per confrontarsi sul fenomeno del razzismo.

All'inizio dell'incontro vengono discusse questioni pratiche legate alla costituzione in associazione che avrà luogo il 31 maggio davanti al notaio.

Si passa poi alla lettura dell'articolo di Gian Paolo Pansa "Come diventare un razzista per bene", apparso sull'Espresso del 30 marzo 2000. Con tono ironico e leggero, il giornalista, in sintesi, osserva che di fronte al dilagare delle illegalità, rapine, aggressioni, spesso compiute da stranieri, e di fronte alla eccessiva debolezza e tolleranza delle nostre forze dell'ordine che "hanno ricevuto ordine di non picchiare, non arrestare, di chiudere gli occhi" e praticano, a differenza che a New York, la "tolleranza mille", è facile diventare dei "razzisti per bene".

Si invoca maggior rigore perché, come dice Montanelli (citato nell'articolo di Pansa) "Ci sono dei momenti in cui la tolleranza diventa viltà. Chi accetta l'anarchia di oggi mette i semi per il razzismo di domani". I presenti alla riunione si riconoscono nell'analisi di Pansa. L'Italia ha senz'altro, a differenza degli altri paesi europei, un problema legato all'estensione delle sue frontiere sul mare, difficilmente controllabili, ma se ci fosse un atteggiamento più rigoroso nei confronti dei clandestini questo andrebbe a vantaggio di tutti: degli italiani che si sentirebbero più protetti, ma anche degli extracomunitari stessi che potrebbero inserirsi nel nostro paese con maggiore facilità. Anche gli italiani d'altra parte hanno vissuto, in tempi non lontanissimi, un destino di emigranti e sanno che cosa significhi vivere in terra straniera e per di più sopportare il pregiudizio legato alla xenofobia.

Qualcuno osserva che bisognerebbe attuare gli stessi provvedimenti che attuava la Germania nei confronti degli italiani i quali potevano entrare solo con un contratto di lavoro e in seguito ottenevano anche un alloggio.

Si osserva che molti extracomunitari lavorano onestamente e che in realtà ci sono italiani che adottano comportamenti immorali sfruttando il loro lavoro, facendoli lavorare in nero con retribuzioni molto basse o il loro bisogno di alloggi con affitti a caro prezzo. Il pregiudizio però é in azione solo contro i “diversi”. Come stanno a dimostrare gli striscioni apparsi negli stadi che sono sembrati a molti un atto di inciviltà.

Viene letto poi l’articolo di Giovanni Sartori “Gli islamici e noi italiani” apparso sul Corriere della sera del 25 ottobre 2000. Sartori con molta pacatezza osserva che rispetto agli altri extracomunitari, gli islamici presentano una situazione senz’altro più delicata, perché la loro comunità, avanza diritti particolari, come il venerdì festivo, il diritto di partecipare alla preghiera del mezzogiorno, l’insegnamento del Corano a scuola o la creazione di scuole musulmane e altri. E, dice Sartori, si limita per ora a richieste plausibili e conciliabili con il diritto italiano, ma non é escluso che un giorno rivendichi anche il diritto all’infibulazione e alla poligamia. Nessun’ altra comunità straniera avanza tali richieste, sottolinea sempre Sartori, gli altri accettano le regole di convivenza dei paesi che le accolgono senza chiedere privilegi e deroghe.

Sicuramente il caso degli islamici pone interrogativi particolari, ma un aiuto all’integrazione dice un altro articolo (“Le religioni aiuteranno la città dell’accoglienza” che riproduce il testo di un appello del Cardinale Martini (Corriere 26 ottobre 2001) potrà venirci da uno spirito religioso correttamente inteso che mira all’accoglienza, alla tolleranza, per la difesa della dignità dell’uomo e dei suoi valori spirituali. Anche perché, come ci illustra in modo molto suggestivo Sebastiao Salgado in un altro articolo (Corriere 27 ottobre) intitolato “Sette anni all’inferno”, molti degli emigranti che giungono da noi provengono da situazioni disperate, perché la globalizzazione che porta ricchezza ai paesi ricchi a volte crea disoccupazione nei paesi poveri. Salgado dice di non avere facili soluzioni, ma invita a sforzarsi di capire quanto “i destini di tutti gli uomini siano intrecciati, al di là e al di sopra di ogni possibile divisione di colore, di classe, di razza”.

Abbiamo concluso osservando che il rispetto dei principi morali può aiutarci sia ad accogliere con spirito fraterno gli immigrati, sia ad accogliere l’”altro” anche nelle relazioni all’interno delle famiglie.